Andar per funghi, tra rogge e antiche segherie

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Guido ha la sua età, ormai, e non esce quasi più di casa. L’unica cosa che continua a piacergli, fuori, è andare a funghi. È una sua passione fin da quando era un ragazzino, e tutto, qui, era diverso.

Da qualche tempo hanno tracciato un sentiero, proprio dietro casa, e sono comparsi dei cartelli che raccontano delle “antiche rogge”. Ci sono anche i disegni delle decine e decine di canali che portavano l’acqua dal Cordevole alle segherie, ai mulini, alle officine. Alcune cose Guido se le ricorda da quando era bambino. A volte, quando va a caccia di chiodini, pensa con nostalgia ai bagni ai boioi, sotto la Levada, ma poi gli tornano in mente anche la fame e la fatica, e ha un po’ meno nostalgia.

Le figlie di Guido ora lavorano in Luxottica – come molti altri, qui in paese. Sedico è fatta di aziende. È il quarto comune bellunese per numero di imprese: a parte la Luxottica, ce ne sono quasi 600, 200 delle quali artigiane. Nessuna novità: fin dal Medioevo il basso Cordevole è stato un’area industriale. Fino alla prima metà del Novecento era segnato da un fitto reticolo di rogge (canali artificiali) che alimentavano le attività più disparate: Sedico era costellata di opifici, segherie, mulini, fucine, perfino una cartiera, da metà Ottocento.

L’acqua era il motore principale dell’economia lungo il Cordevole. L’acqua, e il legno. Il legname scendeva lungo il torrente dall’Agordino. Ciascun tronco era inciso con un segno che lo destinava a una delle tante segherie sorte nei secoli vicino al Cordevole. Nei pressi della segheria i tronchi (o meglio, le taie) venivano deviati in un canale la cui acqua faceva confluire la materia prima nello stabilimento e forniva l’energia idraulica necessaria per il funzionamento delle seghe (le mèle).

Agli inizi del Novecento scendevano dall’Agordino diecimila taie all’anno. Prima, anche fino a ventimila. I tronchi lavorati venivano poi rimessi in acqua in forma di zattere e portati fino a Venezia. Tuttora – non a caso – molte aziende della zona sono legate alla lavorazione del legname.

Le lame per le mèle lavorate dai Buzzati – ricchi commercianti della zona – erano rinomate anche all’estero fin dal Cinquecento. A Bribanét i Buzzati fecero costruire nel XVI secolo un piccolo oratorio: c’è ancora, naturalmente rimaneggiato. Sull’architrave del portale d’ingresso spicca lo stemma di famiglia, una lama per sega. L’oratorio è dedicato a san Nicolò, patrono di chi lavora o va per le acque: protettore di marinai, zattieri e menadàs (i menadàs si occupavano della fluitazione dei tronchi).

Da qualche mese Anna – anche lei lavora in Luxottica – va a correre lungo il sentiero delle rogge. Vive a Sedico da sempre, ma prima che venisse creato il percorso non sapeva nemmeno cosa fossero, le rogge. I cartelli raccontano la storia industriosa di questi luoghi oggi semi abbandonati ai tanti che ormai non possono averne più alcun ricordo. Tra boschi e campi si intravedono qui i resti del mulino, lì le antiche segherie, l’intelaiatura di una vecchia porta per deviare il corso del fiume, le tracce di un canale. Chissà che prima o poi non torni anche l’acqua, nelle antiche rogge.