Quando Belluno era fatta d’acqua

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I Bellunesi hanno un legame forte con l’acqua, da sempre: oggi magari per molti è un legame inconsapevole, ma esiste. A sentire queste parole il professor Francesco Piero Franchi ha un guizzo, sorride, “questo concetto mi piace: consapevolezza”. Franchi è un esperto – tra l’altro – di storia locale. È anche un ottimo narratore. “Noi imparavamo a nuotare nella Piave, tra sassi, pesci e correnti. Cominciavamo anche così, tremando di freddo, a conoscere il nostro ambiente.
I ragazzini oggi li portano a sguazzare nella sicura, caldissima pozza di Jesolo, e cosa sanno, della civiltà d’acqua di Belluno?”. Perché sì, un tempo Belluno era fatta d’acqua. Prima che la sostanza dei nostri fiumi e torrenti diventasse merce, predata per lo sfruttamento idroelettrico e per le irrigazioni della pianura, l’acqua è stata risorsa preziosa e ricchezza attorno alla quale si è modellata per secoli la vita nel Bellunese. “Innanzitutto – Franchi comincia a elencarne le funzioni – l’acqua era energia: faceva funzionare magli, bracci meccanici e macine di decine e decine di mulini”.
Attorno ai fiumi e ai torrenti nascevano opifici, officine, botteghe: interi quartieri artigiani che nei secoli hanno prodotto spade d’eccellenza, hanno conciato pelli, hanno lavorato legno per l’impero della Serenissima e granaglie e biade per la pianura. “L’acqua era una strada – continua Franchi – utilizzata fin dal tempo dei Romani per il trasporto dei beni forestali. La zattera, se uno ci pensa, è un’invenzione geniale: al tempo stesso veicolo e merce, scendeva la Piave giù fino alla laguna di Venezia, dove veniva distrutta e tornava a essere tronchi”.
Attorno alla navigazione fluviale si era creata una vera e propria civiltà, fatta di corporazioni e di gerarchie: chi lavorava sul fiume sviluppava una capacità critica superiore rispetto agli altri, gli stanziali. Veniva a contatto con le idee che circolavano fuori del Bellunese, introduceva innovazioni, annusava mondi lontani. “Finché il fiume è stato via d’acqua, Belluno non era affatto isolata: c’erano scienziati, qui, c’erano viaggiatori, tipografie… Grazie alla Piave, non eravamo subalterni a nessuno”. Sembra un paradosso, ma è stato anche l’arrivo della ferrovia a segnare il declino della civiltà d’acqua del Bellunese.
L’acqua veniva usata come terapia: alla fine dell’Ottocento la stazione della Vena d’Oro era rinomata, ci venivano i ricchi dalla pianura. L’acqua è stata naturalmente preziosa fonte di cibo – “c’era un grandioso stabilimento ittiologico a Fisterre, ci si andava con la morosa” – oltre che oggetto di devozione: ci sono ancora donne che quando scoprono di essere incinta salgono alla fonte di san Mamante, a Caleipo, per chiedere la grazia del latte.